mercoledì 1 aprile 2015

Honeymoon in Japan - Parte 3 - Di wc, metrò e incroci

Arrivati al Keio Plaza Hotel abbiamo finalmente realizzato: siamo in viaggio di nozze.
L'hotel è... wow. E' stato uno dei primi grattacieli di Tokyo, ha quarantacinque piani, quasi 1500 camere, centri congressi, una dozzina tra bar, ristoranti e lounge, ha addirittura la "Hello Kitty room"... eh ragazzi, è o non è giapponese!
All'arrivo abbiamo subito notato la spropositata gentilezza dei concierge e delle signorine giovanissime in stage che caricavano le valigie sui carrelli e ti accompagnavano in camera dove, con dovizia di particolari anche inutili e con un inglese che ... ehm... (forse saranno state la stanchezza e lo spaesamento ma capivo una parola su dieci), ti spiegavano ogni anfratto e ogni segreto della stanza.
La nostra era al ventiduesimo piano, con vista sul municipio di Tokyo, che è questa belva qua:
Che, tanto per intendersi, non entra in nessuna fotocamera che non abbia un obiettivo specifico...

Tra le meravigliose meraviglie della nostra camera stile anni '70 abbiamo apprezzato in particolare:

LO YUKATA!!!
(la versione estiva del kimono)
In ogni stanza d'albergo che si rispetti, in Giappone, vengono messi a disposizione degli ospiti, oltre che le ciabattine, lamette, elastici, dentifrici, spazzolini etc. d'ordinanza, anche queste tuniche leggere in cotone che mi hanno subito entusiasmato (notare il selfie d'obbligo con i capelli spettinati dal lungo viaggio, ma niente in confronto a come sarebbero stati nei giorni successivi) e che ho indossato in men che non si dica!
IL MITICO WC TOYO!
Non potete nemmeno immaginare l'esperienza ultrasensoriale di fare i vostri bisogni qui, se non l'avete mai provato.
Lo so l'argomento è abbastanza trash, ma la cultura e l'efficienza giapponese passano anche di qui. Innanzitutto la tavoletta è riscaldata. E fa un certo piacere. Sì, anche a luglio. 
Poi, quei tasti alla sinistra di chi è seduto: servono a regolare i getti di acqua e aria a seconda che voi siate maschietti o femminucce, a seconda che voi abbiate fatto pipì o pupù. E non sbagliano mira. Mai.

Una delle cosa che ci ha maggiormente colpito del Giappone è la pulizia. Degli ambienti, esterni ed interni, delle persone, di tutto. I wc nei locali pubblici li abbiamo sempre trovati puliti. Sui treni ho visto con i miei occhi inservienti che alla stazione di Tokyo sostituivano i poggiatesta dei sedili. E la cosa più strana in assoluto è che non ci sono i cestini della spazzatura in giro: non ci sono i cestini e non c'è nemmeno la spazzatura. Se non sai dove buttare, porti a casa e butti lì. Mai nessuno butta in terra. I cestini li hanno fatti sparire dopo l'attentato alla metropolitana di Tokyo del 1995, per scoraggiare tentativi futuri, e da quel momento tutti buttano a casa propria i rifiuti.

Subito dopo aver posato le valigie, seppure con gli occhi che bruciavano di stanchezza e le ossa a pezzi, la mia intenzione era di cominciare subito ad esplorare, anche per prendere il giro con il fuso orario (otto ore di differenza non sono poche da digerire).
E così dopo poco ho svegliato Lui (che era nuovamente sprofondato nel sonno) e sicura come non mai ho sentnziato: "Adesso prendiamo la metro e andiamo ad Harajuku e a Shibuya!". 
"Prendiamo la metro?"
"Sì!"
"E dove si prende?"
"Non lo so, la troveremo, abbiamo la mappa!"
"E andiamo dove?"
"Ad Harajuku, il quartiere delle mode giovanili!"
"E dov'è?"
"Eh non lo so ma la troveremo, abbiamo la mappa!"
"Se lo dici tu...".
La stazione di Shinjuku, la stazione più frequentata del mondo con oltre 150.000 persone che vi transitano ogni ora, snodo importantissimo dove ci sono binari dedicati ai treni ed altri alla metropolitana, era a solamente tre, forse quattro minuti a piedi dal nostro albergo, ma noi naturalmente ci abbiamo messo almeno mezz'ora per trovarla. 
E dopo non è andata molto meglio.
Ci siamo trovati fermi come baccalà con la mappa in mano e la faccia a punto interrogativo in mezzo a triliardi di efficientissimi Giapponesi che camminavano alla velocità della luce da un punto all'altro della stazione, senza sapere quale dei millemila tunnel prendere, quale delle linee colorate scegliere, quale bottone schiacciare delle macchinette automatiche che, benché (almeno quelle!) dotate di una misera traduzione in inglese, rimanevano alquanto sibilline.
E' stato lì che un vecchietto simpatico, parlante solo giapponese ma volenteroso, si è impietosito e a gesti ci ha fatto fare il biglietto e portato fino al binario giusto! Che sempre sia lodato!

Cioè sono proprio così, loro, i Giapponesi: gentili fino all'inverosimile, d'aiuto anche se non richiesto. Ed estremamente rispettosi del prossimo: lungo i binari della metro, tutti rigorosamente in fila indiana in corrispondenza delle aperture delle porte. Che non si fermano lì, più o meno. Si fermano lì, punto.

Ho constatato che è proprio vero: nella metro si "spengono". Si siedono e puff! Cadono in un sonno profondo, con le teste ciondoloni, salvo alzarsi improvvisamente alla loro fermata. Oppure si infilano le cuffie nelle orecchie, o smanettano con i cellulari. Non parlano, non urlano, come noi, i loro cazzi al telefono, non chiacchierano nemmeno tra di loro, non si disturbano. 

A Tokyo vivono 13 milioni di abitanti, e se aggiungiamo i pendolari che la raggiungono ogni giorno per il lavoro, arriviamo a 15,5 milioni. QUINDICIMILIONIEMEZZO di persone in una sola città. Eppure non c'è caos. C'è una marea, ordinata, pulita, oserei dire silenziosa, di persone. Il rispetto e la buona educazione dei suoi abitanti sono l'ingrediente fondamentale perchè questo gigante urbano funzioni perfettamente.

E poi Tokyo è una città estremamente sicura. Siamo rimasti allibiti di come i Giapponesi nei locali lascino tranquillamente incustoditi i loro effetti personali, inclusi tablet e cellulari ultima generazione, sulle poltrone, sui tavolini, per andare al bagno o per andare a ordinare. Nessuno osa nemmeno guardarle, quelle cose, come potenziale refurtiva.

Harajuku è una via, fondamentalmente, costellata di negozi kitsch, dove i giovanissimi si affollano in cerca dell'accessorio giusto che li distingua tra la folla (e che, nella migliore delle ipotesi, agli occhi di un occidentale, li renda ridicolerrimi).
Dopo Harajuku ci siamo spinti fino a Shibuya, che è il quartiere dei grandi centri commerciali, dei megaschermi pubblicitari, dei lovehotel, di Hachiko (di cui c'è una statua un po' sfigatella, a dirla tutta) e della moda cheap, dove c'è il famoso incrocio di fronte a Shibuya 109, in cui, quando i semafori sono rossi, attraversano centinaia di persone da ogni lato della strada, in lungo, in largo e anche in obliquo!

In Giappone, ed in particolare a Tokyo, non è difficile scegliere cosa mangiare, perchè al di là della scelta esagerata offerta dalla megalopoli, quasi tutti ristoranti "medi" espongono in vetrina delle riproduzioni in plastica delle loro specialità, come questa:


E anche i menù forniti ai tavoli (fortunatamente) hanno le fotografie.
Non è che c'è poca scelta, è che i ristoranti in Giappone sono specializzati. In sushi, in ramen, in udon, in curry.... Questo era specializzato in ... ehm ... cotolette fritte fritte fritte, riso e cavolo verza crudo. Il piatto ideale per l'impiegato che deve mangiare velocemente, economicamente e sufficientemente per affrontare una lunga giornata di lavoro.

La prima sera, completamente a pezzi e con il cervello in pappa, totalmente incapaci di trovare un posto che ci ispirasse per la cena e soprattutto di ordinare da mangiare, siamo finiti in un ristorante a Shinjuku, attirati dal fatto che non avesse i fritti in vetrina e una parvenza di personale parlante inglese, e abbiamo mangiato come veri uccellini delle porzioni mignon di spiedini di pollo praticamente crudi e pallette di riso avvolte nelle alghe.
Ma come primo giorno, è stato un grandissimo risultato!


mercoledì 18 marzo 2015

Sì, viaggiare!

Del viaggio e' bello tutto. 
È bello pianificare, pensare alle cose da fare, da vedere, da preparare.
È bello immaginarsi come sarà per poi scoprire che la realtà è sempre diversa da come l'avevamo pensata, mai scontata.
L'emozione dell'arrivo e l'entusiasmo del soggiorno, poi.
Ed al ritorno di qualsiasi viaggio è bello scoprirsi cambiati, più ricchi di quella ricchezza che puoi condividere con tutti e che nessuno ti può rubare.
Al ritorno c'è la voglia di ripartire ancora e ancora, per scoprire cosa c'è fuori del nostro piccolo orto e spingersi sempre un po' più in là.
Il viaggio spalanca la mente e il cuore.
Diceva qualcuno che partire è un po' morire; partire invece per me è rinascere, sempre un po' migliori di prima. Restare, quello sì, è morire.

domenica 15 marzo 2015

Honeymoon in Japan - Parte 2 - Di arrivi, di uragani e di "sarariman"

Grazie alla mia ansia e alle indicazioni del tour operator ("il vostro volo parte alle 15.15, presentatevi in aeroporto alle 12"), siamo stati credo i primi a fare check-in. Roba che ci hanno dato i posti Economy meglio del mondo, quelli subito prima della Business, quelli che hai un minimo di spazio vitale per le gambe. E su un volo di 12 ore fanno la differenza, credetemi.
Al gate io ero già su di giri perchè avevo visto la prima donna giapponese vestita in abito tradizionale. 
Seduta al mio posto, mi sono girata e mi sono resa conto che gli occidentali sul volo si contavano sulle dita di una mano: c'erano invece un sacco di Giapponesi, tutti diligentissimi, silenziosissimi, tutti coi calzini bianchi e le scarpe già riposte da una parte, coperti e addormentati.
Io meno male che avevo le pasticche rilassanti miracolose che mi hanno fatto dormire per quattro o cinque ore filate nonostante la rinomata scomodità dei sedili.
Il pasto orientale servito da Alitalia era assai più buono di quello italiano - vi ho detto tutto - e io già mi pregustavo i manicaretti che avrei assaggiato a destinazione (e mi duole dirvi che mi sbagliavo).
Alle 10 del giorno dopo, ora locale, dopo un volo tranquillo (a parte che le ore sveglia le ho trascorse a tormentarmi l'anima per aver scordato a casa il cortisone, che non si sa mai), siamo finalmente atterati a Tokyo Narita.

Avevo l'adrenalina alle stelle: ero finalmente dall'altra parte del mondo, non sapevo cosa ci avrei trovato, e mi sarei subito dovuta misurare con me stessa prendendo il mezzo pubblico giusto per arrivare all'hotel prenotato, in piena Tokyo. 
Invece poi mi sono calmata.
All'uscita, in mezzo alle persone che attendevano agli arrivi, ho subito visto una signorina minuta e sorridente che brandiva un cartello col nostro cognome. Impossibile che sullo stesso volo ci fosse un omonimo. E allora che era venuta a fare? 
Con un inglese impeccabile ci ha accolto dicendo che ci avrebbe accompagnati a prendere il Limousine Bus (che non è un autobus con le sembianze di una limousine - magari! - ma è un autobus che dall'aeroporto ti porta ai principali hotel della città, divisi per quartiere). "Dovete andare alla toilette? Dovete cambiare i soldi? Avete sete? Fame? Il vostro autobus parte tra venti minuti, vi accompagno alla pensilina. Ah, e state tranquilli che l'uragano al momento è nella penisola di Hokkaido, che è molto distante da qui".
URAGANO?!!?!?!
"Sì, tutti gli anni in media ce ne sono trentadue in questo periodo, e questo è solo l'ottavo. Ma state tranquilli, è atteso in città per domani notte e a quel punto sarà solamente più una TEMPESTA TROPICALE". Ah beh, se è così allora... Ma luglio non era il periodo adatto per viaggiare in questo Paese?!?!?!?
Per non parlare del caldo. Asfissiante, soffocante, umido, invalidante.
La mitica ha aspettato con noi l'arrivo dell'autobus. Tutti e venti i minuti non si è mai distratta, ci ha sempre intrattenuto chiacchierando di vari argomenti, dandoci le prime nozioni sul Giappone, sfoderando una cartina di Tokyo dove ci ha segnato a penna tutte le cose da vedere, elencandoci pregi e difetti di tutti i mezzi di trasporto utilizzabili in città, dicendoci che sognava, un giorno, di poter venire in Italia. 
Questo fa molto parte dell'essere Giapponese: l'efficienza, la perseveranza, il portare a termine ogni compito, per quanto banale possa essere, con dedizione, quasi fosse una missione. Intrattenere gli Sprovveduti Italiani per venti minuti, metterli sull'autobus, non farsi mancare gli spunti di conversazione anche se si hanno davanti due baccalà intontiti dalle 24 ore totali di viaggio, non far loro mancare nulla. Fatto! Ci ha persino messo le valigie nel bagagliaio dell'autobus, e guai ad aiutarla.

Sull'autobus il mio novello sposo è caduto nel sonno profondo dei bimbi.
Io ci avevo l'ansia&l'adrenalina e quindi ovviamente no.
Innanzitutto ho notato i meravigliosi coprisedili in puro uncinetto. No non scherzo. Non me ne capacitavo. Cioè, i Limousine bus, che sono una compagnia grande, con molti pullman, che effettuano ciascuno milioni di viaggi in una giornata, hanno poggiatesta che sembrano usciti da casa di mia nonna, o, peggio, dai taxi fai-da-te che ho visto in Maghreb?!? Sì, così. Ma non solo li hanno gli autobus. Anche i taxi. E per giunta sono anche candidi, immacolati, puliti. 
E' quel tratto trash che in Giappone emerge in molti contesti, e stride con il minimalismo che contraddistingue gli ambienti tradizionali.
E gli autisti, di taxi e di autobus, hanno tutti cappellino e guanti, schiena dritta, camicia abbottonata fino all'ultimo bottone, come fossero gli chauffeurs di qualche Presidente. Sono meravigliosi.

Dal finestrino dell'autobus, prima l'autostrada con i campi attorno, poi, alla periferia di Tokyo, le fabbriche, poi - meraviglia delle meraviglie - ho intravisto le giostre di Disneyland, poi finalmente la città!
I vari quartieri di Tokyo sono tra loro collegati da un'autostrada che fu costruita in occasione delle Olimpiadi del 1964, che passa proprio nel cuore della metropoli, a ridosso dei grattacieli, tanto che dal finestrino potevo scrutare dentro le loro finestre e spiare i Giapponesi al lavoro... incredibile. Non è il classico cliché da occidentali, almeno negli uffici loro sono davvero tutti identici! Mi sembrava un popolo di formichine operose, mille formichine, milioni di formichine, tutte racchiuse in quei giganti di vetro e cemento. Tutti in camicia bianca, pantaloni scuri, capelli scuri, corti. Non una camicia diversa, non una barba, non un ricciolo sbarazzino. E le donne anche loro in gonna da ufficio, preferibilmente scura, e camicetta bianca. Poche, attraverso quelle finestre, a dire la verità.
Erano proprio i famosi "salaryman" (o, alla giapponese, "sarariman")
Ma presto ho capito che non era una deformazione della mia mente da occidentale anche parecchio assonnata, no, in Giappone c'è un'etichetta molto rigida riguardo all'abbigliamento da tenere in ufficio.
I neolaureati in cerca del primo impiego prima di tutto devono investire un occhio della testa in un completo adatto ad un colloquio di lavoro, comprensivo di scarpe. Ho visto qualche volantino pubblicitario in giro e nonostante a me siano sembrati veramente tutti identici (normali completi da ufficio), mi hanno garantito che le differenze e le caratteristiche distintive sono palesi (?).
La vita lavorativa del sarariman passa prima di tutto dall'aspetto estetico.
Se parlate inglese, sull'argomento, vi consiglio questo post.


Dopo svariati grattacieli con svariati milioni di formichine dentro, siamo finalmente arrivati nel quartiere di Shinjuku, quartiere del business e dell'amministrazione, dove si trovava il nostro albergo e dove bramavamo un bel pisolino.

- Shinjuku -

Presto nuove cronache della Honeymoon... stay tuned!

domenica 8 marzo 2015

Honeymoon in Japan - Parte 1 - Prologo

Allora, mi sono sposata.
Yeeeeeeeeeeeeeee.
E dopo sono anche partita per un favoloso viaggio di nozze! 
Yupiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiii.
E adesso ve lo racconto.
Ah.

Ok offtopic clamoroso. Chissene.

Per prima cosa, la destinazione prescelta: il Giappone.
Allora dovete sapere che l'anno scorso è stato l'anno degli USA. Ovvero: il 90% delle coppie che conosco che si sono sposate hanno scelto gli USA come destinazione per la luna di miele, abbinati o meno a qualche isola paradisiaca sperduta in qualche oceano. E hanno fatto benissimo, tra l'altro.
E' solo che ... boh. Io della mia vita di turista ho una visione molto ottimistica, e quindi spero sempre di avere tutto il tempo (e il denaro!) del mondo per poter viaggiare, e (chiamatemi pure pazza) gli USA li vedo come una meta più "vicina", più "fattibile", e addirittuta più "abbordabile", ergo ho una grandissima voglia di visitarli (soprattutto New York) ma nel mio cuore ottimista penso sempre che sono sempre lì, quando voglio posso andare.
Eh sì vaglielo a spiegare che sono lontani millemila kilometri e i voli costano l'iradiddio e pure gli alberghi non sono troppo low cost ma sopratutto vai a permetterti almeno 2 settimane di ferie (sia economicamente sia lavorativamente parlando), eppure.
Concettualmente, per me, il viaggio di nozze era ed è un viaggio:
- lontano;
- in una cultura completamente diversa;
- che difficilmente potresti permetterti se te lo pagassi tutto solo (!).

Diciamo che sono partita con questo concetto base.
Per di più non è mai da sottovalutare, quando si viaggia, il periodo dell'anno. Ah, luglio. Col bene che ti voglio. Non vorrai mica sposarti d'inverno no? Come fai poi a vestirti come ti pare (anche se quello che vi hanno sempre detto è assolutamente vero: QUEL giorno non senti nessun tipo di temperatura, potresti anche, per dire, essere nuda a dicembre, che fa niente)? Ho pianificato la data come nemmeno un genio del male pianifica la distruzione del mondo, considerando impegni vari, nostri e di altri, clima, ore di luce, disponibilità della LOCHESCION, conincidenze astrali, etc (e per puro caso ha smesso di piovere tre ore prima della cerimonia, ma vabbé) e luglio è stato.
Allora, cara agente di viaggio, cosa ci consigli per luglio? Oriente, decisamente.

Amorino, dove ti piacerebbe andare, in Oriente, a luglio?
Mah. 
Abbiamo accumulato cataloghi.
E poi una sera per puro caso abbiamo visto un documentario sul Giappone su LaEffe, ed è stato deciso.
Allora, diciamo la verità, che fino a sei/sette anni fa non avrei avuto dubbi sulla meta di un ipotetico viaggio di nozze: Giappone über alles.
Epperò poi non lo so cosa è successo, Nonsochi mi ha detto che non era mica come lo immaginavo, non era mica colmo di storia, ho cominciato a vederlo come una meta per appassionati di manga e cosplayer e basta, e allora l'ho un po' perso di vista.
Ma ormai mi era entrato nel cuore, ho rispolverato tutti i miei libri sui Giapponesi e sulle Geishe (ci volevo anche scrivere la tesi, tra l'altro, sulle Geishe) e ho deciso. Giappone sia.

Purtroppo o per fortuna ho avuto modo di prepararmi poco, al viaggio.
Da una parte mi è dispiaciuto, perché sono il tipo (insopportabile, lo ammetto) che ci prova un certo gusto a sapere già le nozioni che le guide locali ti raccontano. Ma anche perché ha tutto un altro sapore, per me, leggere di qualche posto, di quelche ristorante, di qualche monumento, assaporare l'attesa e poi finalmente esserci.
Ma dall'altra parte mi sarei rovinata troppe sorprese, troppi shock culturali, e quindi ben venga.

Quindi, prima del viaggio:
- sono diventata un'esperta di collegamenti aeroporto di Tokyo Narita/Tokyo città tramite ferrovie JR, perchè ci avevano detto che il pick-up da e per l'aeroporto non erano inclusi (e invece lo erano e le ferrovie JR non erano certo il mezzo di trasporto migliore, avrei imparato sulla mia pelle);
- sono diventata fan dei video demenziali di Youtube di stranieri (soprattutto americani) che vivono in Giappone e parlano delle varie differenze culturali, come ad esempio questo: Gaijin Tips - No dirty toilets in Japan
- ho letto "In Asia" di Tiziano Terzani (saltando gli articoli che non parlavano del Giappone, confesso) e "Autostop con Buddha" di Will Ferguson;
- ho iniziato "Giorni Giapponesi" di Angela Terzani Staude (la moglie di Tiziano), che sconsiglio caldamente in quanto si riduce ad una mera feroce critica alla cultura giapponese... mai finito;
- ho inserito nella mia wishlist "Ore Giapponesi", libro, anche fotografico, di Fosco Maraini (ma ancora nessuno me l'ha regalato);
- ho dato una rapida occhiata alla guida;
- ho acquistato gli adattatori per le prese di corrente e mi sono comprata un paio di scarpe da running.
E basta.
E il giorno prima di partire mi è venuta un po' di ansia di non essermi preparata adeguatamente, ma era domenica e avevo uno spaventoso hangover dovuto ai festeggiamenti del giorno prima, e così nulla, ho fatto la valigia più lunga del mondo (ci ho messo tre ore: mettevo un paio di calzini e poi mi stravaccavo sul divano a ripensare a quanto mi fossi divertita il giorno prima, infilavo una maglietta e subito dopo brandivo l'Iphone per controllare se su Facebook c'erano delle foto nuove...eccetera eccetera), sono andata a letto e il giorno dopo di buon mattino siamo partiti per Fiumicino.

domenica 4 maggio 2014

Maggerini

La festa del 1° maggio qui in Toscana, e soprattutto in Maremma, è molto sentita.
Chiaro, perchè è una cosiddetta "regione rossa" e va da sé che la festa dei lavoratori sia degnamente riconosciuta, ma il 1° maggio qui è anche e soprattutto legato alla campagna (e te pareva).
I contadini danno il benvenuto alla bella stagione (non so bene perchè siano contenti in effetti: da qui a tutto settembre i contadini sgobbano come asini) con tradizioni e cibi e canti, tra cui annoveriamo:
1. la colazione con la trippa. Ebbene sì. E' tradizione, alle otto, appena svegli, gustare trippa e vino, tanto per incominciare la giornata;
2. i baccelli. Crudi. Nel resto d'Italia altrimenti detti "fave" e altrimenti mangiati cotti. Ma vi posso assicurare che appena raccolti sono dolcissimi, e la morte loro è avvolti nel prosciutto toscano, preferibilmente affettato a mano, e nel pecorino. Una vera delizia da provare. Accompagnati da un buon vino, chevvelodicoaffà.
Eccovele in tutto il loro splendore, dopo che coraggiosamente le ho estratte dal sacchetto schivando chiocciole e insetti vari (naturalmente le suddette fave venivano direttamente dall'orto):


3. i Maggerini. Questi strani figuri agghindati in maniera stravagante si aggirano per il paese verso sera, ogni 30 aprile.
Nella tradizione e fino a qualche anno fa i Maggerini erano una vera e propria istituzione: gruppi di persone abbigliate con colori sgargianti, frange, cappelli, bandierine e chi più ne ha più ne metta per attirare l'attenzione, bravi nel canto e nella composizione di rime, con tanto di strumenti musicali e asini (ciuchi) al seguito che partivano il 30 aprile a piedi e facevano il giro dei poderi in campagna fino alla mattina del 1° maggio. 
Suonavano ad ogni podere che incontravano sul loro cammino, svegliandone gli abitanti con le loro canzoni e con la musica. Era bene aprirgli solertemente se non si voleva che aumentassero il volume e il tono delle canzoni, che arrivavano, nei casi di ostilità estrema, ad essere vere e proprie jettature!
Una volta aperto l'uscio, i contadini erano soliti farli accomodare e mentre ascoltavano versi composti appositamente per loro (ovviamente si conoscevano tutti anche allora, e le rime erano, per dirlo alla snob, "customizzate" sui gusti e sugli avvenimenti della famiglia ospite) gli servivano ogni ben di dio da mangiare, e soprattutto e naturalmente, vino a volontà.
E così alla fine del giro erano ubriachi fradici e componevano versi sempre più strampalati, fino a stramazzare a terra all'alba!
Oggi non è più così, anche se lo è stato fino quasi certamente agli anni '50, e i maggerini sono impersonati dai bimbi delle scuole, che fanno un giro in paese, agghindati anche loro in maniera stravagante e con ciuchino al seguito, "cantando il maggio".
Sono già sei anni che abito qui ma tutti i 30 di aprile mi stupisco a vederli per la strada (la prima volta, senza sapere di cosa si trattasse, ovviamente fu trauma immediato) ma mi mettono sempre tanta allegria, e in fin de conti è proprio questo il loro compito!

lunedì 14 aprile 2014

E' ufficiale: ho disimparato a fare shopping

Vi annuncio ufficialmente che la mia abilità a comprare è morta, finita, kaputt.
Anzi no. Mi correggo: la mia abilità a comprare SCARPE E VESTITI è morta e sepolta.
Al supermercato sono bravissima a scovare ottimi prodotti con analisi comparata del rapporto qualità-prezzo e caccia all'offerta.
Starò mica invecchiando?
O forse è Frittole, che possiede due-tre negozi insufficienti ad allenarmi l'occhietto fashion?
Non lo so, ma mi succede sempre più spesso che, appena fisso una visita all'outlet a Barberino d'i'Mugello passo l'attesa in brodo di giuggiole a pensare alle migliaia di cose che comprerò e poi quando finalmente ci sono vado via con due reggiseni basic di Intimissimi e un regalo per qualcun altro. Cose realmente accadute.
Arrivo lì, penso "non ce la farò mai a comprare tutto quello che voglio in SOLE quattro ore" e poi non compro nulla.
E' il troppo, che mi spaventa. Comincio il giro pensando che al primo passaggio non si deve comprare nulla, che se poi due negozi dopo c'è una cosa più bella poi me ne pento, allora è meglio aspettare il secondo giro. All'inizio mi piace QUALSIASI COSA. Anche, che ne so, la roba dei bimbi. Che penso mannaggia che peccato non averne uno così da approfittare di questa megnifica offerta tre body per 5 euri. Li comprerei quasi per "metterli via, che poi torneranno utili", per dire. 
E poi succede che entro nei primi negozi e ispeziono accuratamente, poi mi rendo conto che non posso fare così per tutti che altrimenti altro che quattro ore, ci metterei un mese a vedere tutto, e allora salto qua e là. Dappertutto trovo cose che comprerei, e così non compro nulla da nessuna parte in attesa di non-so-cosa. 
Poi improvvisamente mi viene una fame tragica e così mi siedo a mangiare. E come per magia dopo pranzo non ho più voglia. Il secondo giro lo faccio alla svelta, tutto quello che mi sarei comprata al primo, al secondo lo ritengo superfluo, e tiro dritto.
Naturalmente una bella fetta di "colpa" ce l'ha Lui, che nei negozi non entra, "Ti aspetto fuori", e così a te che sei dentro viene l'ansia che lui è lì che si annoia. E poi dopo pranzo gli vengono in mente millemila cose da fare prima di sera e "Dai, andiamo, che è tardi".
E niente, vado via a mani semivuote.
Una volta non era così. 
Avevo tipo un sensore laser che mi focalizzava subito l'attenzione sul pezzo desiderato, lo provavo, facevo le mie considerazioni, e poi decidevo. In meno di 10 minuti. Andavo via soddisfatta, piena di borse e con l'impressione di aver fatto ottimi affari.
Avrò perso l'allenamento?
Sarà la crisi?
O, ancora peggio, la vecchiaia?


domenica 6 aprile 2014

Antigone era una regina che mi assomigliava caratterialmente - ovvero degli autisti di autobus frittolesi

Essere autista di autobus a Frittole ha i suoi vantaggi rispetto ad esserlo in città.
Invece di fare i conti con il traffico, i semafori, i pazzi alla guida e i passeggeri talvolta pericolosi, come i loro colleghi torinesi, gli autisti frittolesi sono quotidianamente alle prese con animali molesti, kilometri di strade curvose e deserte, spesso strettissime, e passeggeri il più delle volte familiari.
In certi casi sfidano le leggi della fisica per scambiarsi con bilici su e giù dai poggi, in certi altri pazientemente scendono dall'autobus e fanno manovra all'auto che viene loro incontro, per poterci passare entrambi, specie se alla guida c'è un anziano o una donna poco pratica (solo storie vere, giuro).
E poi ci sono loro, le studentesse arrapate con gli ormoni impazziti.
Queste quindic-sedic-diciassettenni sanno di poter contare su un ambiente tutto sommato sicuro e protetto anche quando sono sull'autobus, e anche se sono sole con l'autista. Perchè non è come i città, qui gli autisti sanno chi sei tu, o perlomeno chi sono i tuoi genitori, i tuoi nonni, e i passeggeri conoscono gli autisti o le loro famiglie, e normalmente si tratta di persone assolutamente affidabili.
Niente a che vedere con l'esperienza shock che ebbe una mia amica ai tempi del liceo, quando aspettava il pullman e la caricò un autista di un autobus fuori servizio, assicurandole che l'avrebbe portata comunque a destinazione e invece la portò in posti che lei non riconosceva e ci provò spudoratamente... non le successe nulla di grave, ma lo spavento fu tanto.
Ecco, per noi gli autisti erano perfetti sconosciuti maschi adulti dai quali tenersi a debita distanza, non dare confidenza, non rivelare alcun particolare sulla propria vita privata così che non potesse essere, un giorno, usato proprio contro di noi, esibire il biglietto a richiesta, zitte e mosca.
Qui no. L'autista rispecchia per loro l'uomo adulto, il padre al quale possono dire un po' di tutto, il maschio sul quale riversare i loro ormoni (senza mai però oltrepassare il semplice flirt da ragazzine, lo specifico), che a differenza dei loro coetanei non si imbarazza ed è lì, a portata di mano.
Loro stanno al gioco, un po' per noia, un po' perchè sanno che è un flirt innocuo.
E così l'altro giorno una ragazzina ha importunato il povero autista per tutto il tragitto, chiedendogli gomme da masticare, pareri sui ragazzi con cui uscire, raccontandogli amori e tradimenti e infine leggendogli una frase scritta (a suo dire) da un suo professore sulla sua bacheca Facebook: "L'ha dedicata a me, sai? Parla di Antigone, perchè dice che era una regina caratterialmente molto simile a me".
Il suo coetaneo e compagno di scuola, snobbato in favore del maschio adulto che guidava, a domanda di quest'ultimo, ha così sentenziato:"Io? Io mi butto all'òmini, mi sa che è meglio!".